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1796 04 28 Armistizio di Cherasco

1° Campagna d'Italia > 1796 Liguria e Piemonte

Dopo la vittoria di Mondovì il generale Bonaparte fu in grado di proseguire rapidamente l'avanzata in Piemonte e l'Armata d'Italia marciò su tre colonne verso Cherasco, verso Fossano e verso Alba. Mentre il generale Augereau marciava su Alba, il generale Sérurier raggiunse ed occupò Fossano dove, dopo un nuovo combattimento, costrinse alla ritirata le retroguardie piemontesi del generale Colli; lo stesso giorno il comandante in capo dell'armata entrò a Cherasco dove venne installato il nuovo quartier generale, mentre avanguardie vennero spinte oltre lo Stura in direzione di Bra.
Le nuove posizioni raggiunte dall'Armata d'Italia a Cherasco erano strategicamente importanti e dominavano lo sbocco dello Stura nel Tanaro; il generale Bonaparte quindi decise di organizzare la difesa sfruttando i materiali catturati nei depositi della città; attraverso le nuove vie di comunicazioni con Nizza passanti per Ponte di Nava, l'armata francese poté ricevere finalmente rinforzi di artiglieria e nuovi materiali di equipaggiamento.


Dopo la continua serie di vittorie e le frenetiche marce lungo le vallate di montagna, i soldati francesi avevano raggiunto posizioni sicure in pianura e, dopo aver depredato e saccheggiato il territorio nemico per rifornirsi, potevano finalmente disporre di sufficienti materiali di rifornimento che permisero di migliorare in modo sostanziale la condizione delle truppe e di accrescere l'ordine e la disciplina nei reparti. L'Armata d'Italia aveva superato le sue gravissime difficoltà materiali e aveva raggiunto decisivi successi strategici che ben presto provocarono nuovi e clamorosi sviluppi politico-diplomatici.

L'improvvisa avanzata francese in Piemonte e le pesanti sconfitte subite suscitarono grande preoccupazione nella corte del Regno di Sardegna; l'esercito piemontese era demoralizzato mentre le truppe austriache non sembravano disposte ad intervenire in aiuto e si limitavano a cercare di difendere la Lombardia.

Turbolenze politiche interne e segni di insofferenza tra la popolazione rischiavano di minare la solidità della monarchia e facevano temere una evoluzione rivoluzionaria filo-francese. In queste condizioni il re Vittorio Amedeo III, soprannominato spregiativamente dai francesi fin dal 1794 il "re delle marmotte", richiese al generale Bonaparte una sospensione delle operazioni militari. Il comandante in capo dell'armata non aveva i pieni poteri per negoziare e concludere un armistizio con una potenza belligerante ma le istruzioni del Direttorio prevedevano che egli potesse decidere secondo le circostanze se favorire un svolta rivoluzionaria in Piemonte o invece concludere, dopo la vittoria militare, una "alleanza vantaggiosa" con il re di Sardegna.

Il generale Bonaparte, fin da questo momento poco propenso ad assecondare il Direttorio, considerato struttura di potere inefficiente e corrotta, e consapevole dell'importanza dei suoi successi e del prestigio raggiunto in patria, decise di agire autonomamente dopo aver limitato anche le possibili interferenze del commissario Saliceti. Il comandante dell'Armata d'Italia riteneva problematico continuare le operazioni contro il Regno di Sardegna e avanzare verso Torino; la capitale piemontese era solidamente fortificata e l'esercito francese mancava di cannoni pesanti; inoltre l'esercito austriaco avrebbe potuto intervenire e, riunendosi con le forze sabaude, mettere in pericolo le vittorie già conseguite. In realtà il generale Bonaparte considerava molto più importante sconfiggere gli austriaci ed entrare in Italia, sfruttando la fama raggiunta con i suoi successi per sollevare le popolazioni contro le monarchie; egli quindi decise di rinunciare a detronizzare il "re delle marmotte" e invece concludere rapidamente un accordo che lo liberasse di uno dei suoi avversari. Dimostrando la sua autonomia dalle direttive del Direttorio,il generale diede prova di capacità politico-diplomatica; intimorì gli inviati del re di Sardegna e il 28 aprile venne concluso l'armistizio di Cherasco che sancì la vittoria francese e l'uscita del Regno di Sardegna dalla prima coalizione. Un plenipotenziario piemontese sarebbe stato subito inviato a Parigi per concludere un formale trattato di pace, mentre l'Armata d'Italia avrebbe mantenuto l'occupazione dei territori conquistati, avrebbe sfruttato le vie di comunicazione per rifornirsi e avrebbe preso possesso delle fortezze di Ceva, Cuneo e Tortona.

Il generale Bonaparte aveva concluso in pochi giorni le trattative e raggiunto un grande successo politico-militare; egli era libero di riprendere la campagna e penetrare nel cuore del dominio austriaco; il Direttorio, contrariato per l'indipendenza dell'autoritario generale, rimase sorpreso dalle inattese vittorie dell'Armata d'Italia e dal denaro e dai beni raccolti dal generale Bonaparte e inviati a Parigi. Il colonnello Murat fu incaricato dal comandante in capo di portare subito a Parigi le ventuno bandiere conquistate e le clausole dell'armistizio di Cherasco; le notizie delle vittorie suscitarono entusiasmo nella capitale francese, e per cinque volte, dal 21 al 25 aprile 1796, le assemblee legislative riunite deliberarono solenni ringraziamenti all'Armata d'Italia per i successi raggiunti.
Il generale Bonaparte fornì sul campo nei dieci giorni della campagna di Montenotte la prima dimostrazione pratica della sua famosa "strategia della posizione centrale" che egli avrebbe applicato ancora durante la sua carriera nelle situazioni strategiche in cui dovette affrontare contemporaneamente una serie di eserciti nemici, superiori numericamente ma lenti e mal collegati tra loro, quindi esposti alla manovre rapide e impetuose delle truppe francesi. Napoleone avrebbe paradossalmente concluso la sua carriera proprio conducendo in teoria la campagna di Waterloo con la stessa "strategia della posizione centrale" con cui aveva iniziato diciannove anni prima nella campagna di Montenotte. Secondo Emil Ludwig: "l'ultima sua battaglia si riallaccia così alla prima".

La novità assoluta della guerra napoleonica si mostrò nell'aprile 1796 nei dieci giorni di continue battaglie e di frenetici spostamenti che disorientarono completamente i generali nemici, incapaci di comprendere e di contrastare le strategie del giovane generale. Oltre alle sue superiori capacità strategiche e tattiche, il generale Bonaparte, giovane ed in piena salute, si dimostrò instancabile nell'azione, in completo contrasto con i suoi avversari, il settantaduenne generale Beaulieu e il generale Colli, sofferente di una grave forma di gotta.

Le truppe francesi, spinte dalle vecchie idealità rivoluzionarie e soprattutto dal legame personale instauratosi con il nuovo e vittorioso condottiero, avevano marciato e combattuto continuamente, permettendo al generale Bonaparte di mettere in pratica le sue teorie di distruzione totale dell'avversario, di attacco alle parti separate del nemico, di veloci concentrazioni successive di masse numericamente superiori sul campo di battaglia. Esaltati dai primi trionfalistici proclami del generale, al termine della prima fase della campagna i soldati francesi, ormai liberi di dilagare in pianura dopo il crollo dello sbarramento alpino, rimasero stupefatti per l'esaudirsi delle promesse del loro comandante; da quel momento essi si legarono al generale Bonaparte, assurto subito a personaggio superiore di rilievo epocale.
A Milano dove il generale Bonaparte sarebbe entrato alla testa dell'Armata d'Italia il 16 maggio 1796 dopo il passaggio del Po e dell'Adda e la ritirata austriaca verso il Trentino, egli avrebbe entusiasmato i suoi soldati ed anche la borghesia locale filofrancese parlando di "torrente" precipitatosi "dall'alto dell'Appennino", di amicizia tra "tutti i popoli", di "discendenti di Bruto e degli Scipioni" e di "gloria immortale di cambiar volto al più bel paese d'Europa". Il generale, di chiara origine italiana, dal nome così caratteristico, dalla sorprendente personalità, apparve in un primo tempo ai popoli d'Italia come il campione della libertà e dell'uguaglianza; l'epopea napoleonica era iniziata.

La Cittadella di Alessandria

La Cittadella di Alessandria viene occupata dall'esercito francese dopo l'Armistizio di Cherasco
Nel luglio del 1799 fu assediata dall'esercito austro russo di Aleksandr Vasil'evič Suvorov. Dopo tre giorni di bombardamento vennero inflitti gravi danni alle strutture fortificate e i francesi costretti alla resa.
Napoleone Bonaparte, dopo i trionfi della battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e l’ascesa al trono imperiale di Francia (2 dicembre 1804), decise di ampliare e restaurare la fortezza e di circondare la città con nuove difese e otto nuove fortificazioni allo scopo di realizzare una grande base logistica destinata a supportare le operazioni dell' esercito francese schierato nel Nord Italia, lo sviluppo urbano era previsto nell'abitato di Marengo.
Durante l'occupazione francese la posizione e l'efficacia delle moderne fortificazioni ha fatto della Cittadella una delle fortezze più spettacolari dell'impero e il più ricco arsenale di tutta Europa. La costruzione e lo stato di conservazione degli edifici napoleonici sono unici. Napoleone voleva fare della Cittadella la “porta orientale” della Francia.
Nel 1814 le armate austriache demolirono il campo trincerato francese risparmiando la Cittadella che fu consegnata al restaurato Regno di Sardegna. Dopo la Restaurazione il ripristino delle antiche mura dei Savoia ha dato ancora una volta un ruolo fondamentale alla Cittadella.
Inizialmente utilizzata come una testa di ponte del nuovo campo trincerato, Alessandria divenne alla metà del XIX secolo importante baluardo contro l’impero austriaco.

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