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CANAVESE - CON N.
ETTORE PERRONE

UNA VITA DI GUERRE E BATTAGLIE PER LA LIBERTA'




Ettore Perrone nacque a Torino il 12 gennaio 1789, terzogenito del conte Carlo Giuseppe (1764-1836) e di Paola Argentero di Bersezio (1765-1835). Venne battezzato nella parrocchia di S. Filippo il giorno della nascita, in presenza di un padrino e di una madrina non nobili: Francesco Domenico Mollo e Margherita Giacomasso.

Il fratello primogenito, Carlo Raffaele Valerico, in età napoleonica prestò servizio nella marina francese divenendo luogotenente di vascello e ricevendo la Legion d’onore; visse a Parigi, abbandonando la carriera dopo la Restaurazione, e vi morì celibe nel 1852. Vittorio, il secondogenito, prestò anch’egli servizio con il regime napoleonico, iniziando la carriera militare nel 1806, arruolato nei Cacciatori a cavallo veronesi, un reggimento del Regno d’Italia; passò nel 21° Dragoni, un reggimento formato in Piemonte, fino al 1807, quando fu trasferito al 5° Dragoni francese. Luogotenente nel 1810, capitano nel 1812, Vittorio fu in Dalmazia, in Portogallo, in Spagna e in Germania e morì a Fère Champenoise nel tentativo di fermare l’avanzata degli eserciti nemici su Parigi nel 1814. A Perrone seguirono cinque sorelle: Sofia (che sposò il conte Felice Cacherano di Bricherasio), Irene (moglie di Carlo Augusto Gromis di Trana), Maria Carolina Beatrice (moglie del cavalier Etienne-Vincent de Marniolas, prefetto napoleonico del Dipartimento del Po e, in seconde nozze, di Florimond de Fay La Tour-Mauburg, membro della Camera dei pari e ambasciatore francese in vari Stati), Clelia Angelica (che sposò il conte Ferdinando Galli della Loggia, senatore del Regno d’Italia) ed Emilia.  

Non si hanno notizie sul periodo di formazione, anche se è probabile che Perrone avesse ricevuto la sua prima educazione a Torino, in forma privata.

La madre era donna colta e aperta alle nuove idee, tanto da dividere il proprio destino da quello del marito nella prima fase del governo francese. Mentre, infatti, Carlo Giuseppe aveva scelto di restare fedele ai Savoia seguendo la corte che aveva lasciato Torino, la baronessa Paola aderì come la sorella Raffaella al regime napoleonico, diventando dama d’onore dell’imperatrice Giuseppina. Solo negli ultimi anni del regime napoleonico anche Carlo Giuseppe vi aderì, divenendo membro del Collegio elettorale della Dora (l’organo che aveva il compito di eleggere i deputati del rispettivo dipartimento, che sarebbero entrati nel corpo legislativo) e riuscendo a ottenere infine il titolo di conte dell’Impero (1810).  

A diciassette anni, grazie a una lettera di presentazione della contessa Polissena Gastaldi di Trana, moglie del procuratore imperiale a Torino conte Ludovico Peyretti di Condove, Perrone entrò volontario nella Légion du Midi (1806), già detta Legione piemontese, allora reduce da una spedizione nelle Antille, raggiungendola nell’isola di Aix. Allievo nella scuola militare di Fontainebleau dall’ottobre 1806, nell’aprile 1807 fu nominato sottotenente nel 65° Fanteria di linea, in dicembre fu promosso luogotenente. Come testimonia il capitano Giambattista Cerruti, nel 1807 combatté in Prussia e in Polonia. Tenente nel 1807, dal 1808 al 1809 fu impegnato con la Grande Armée nella campagna contro l’Impero austro-ungarico e fu riconosciuto cavaliere Legion d’onore sul campo a Wagram (1809). Passò successivamente in Spagna, dove si trattenne fino al 1811; in quel periodo fu trasferito nel corpo della Vecchia guardia, parte della Guardia imperiale, con i gradi di luogotenente in seconda e sottoaiutante maggiore (1811).

Partecipò alla campagna di Russia (1812) nel 1° Granatieri a piedi della Vecchia guardia. Promosso nel 1813 luogotenente in prima (grado corrispondente a quello di un capitano della fanteria di linea), prese parte alla successiva campagna napoleonica in Germania, sui cui campi combatterono anche il fratello Vittorio e i cugini Carlo Emanuele e Alberto Lamarmora. Promosso capo battaglione nel 24° Fanteria di linea nel marzo 1814 e ufficiale della Legion d’onore in aprile, allo scorcio dell’età napoleonica fu chiamato dal generale Étienne Maurice Gérard a far parte del suo stato maggiore come aiutante di campo e nel 1815 partecipò alla battaglia di Ligny contro i prussiani. Sarebbe stato lo stesso Gérard a volerlo ancora al suo fianco in Belgio nel 1830.

In aspettativa dall’agosto 1815, grazie alla raccomandazione del cognato, il marchese Just Florimond de Fay La Tour-Maubourg, si vide riconoscere la naturalizzazione francese nel 1816 e la possibilità di militare nelle truppe borboniche risiedendo sia a Parigi sia a Lione, i centri in cui si stavano concentrando le sette latomiche e carbonare. Capobattaglione del 3e Bon légion de la Manche (1817), si dimise nel 1819 per ragioni che non sono chiare. In contatto con l’ex ambasciatore spagnolo a Torino Eusebio Bardaxi, con il marchese Demetrio Turinetti di Priero e il principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna, tornò in Piemonte dopo un breve periodo trascorso in Inghilterra quando si stavano intensificando le relazioni tra gli ambienti liberali d’Oltralpe e le società segrete italiane. Faceva parte allora di quella cerchia di elementi più intelligenti e spregiudicati dell’aristocrazia piemontese che gravitavano intorno al giovane Carlo Alberto.

Coinvolto nelle trame cospirative del 1821 a seguito del sequestro, nel mese di febbraio, di alcune lettere inviate a vari personaggi dell’aristocrazia piemontese e a ufficiali dell’esercito sabaudo dal principe della Cisterna (l’amico di Benjamin Constant che, dopo aver servito Napoleone e Camillo Borghese, era diventato uno degli esponenti dell’opposizione liberale moderata, intrattenendo contatti a Parigi con i centri clandestini dell’emigrazione politica italiana), dal generale Maurizio Fresia, dall’esule e filadelfo Luigi Angeloni e da altri iscritti alle società segrete, fu arrestato la sera del 2 marzo insieme con il marchese di Priero e con l’ispettore delle poste Giuseppe Verra, al termine di una festa da ballo organizzata a Torino a casa dell’avvocato Giovanni Bonvicino. Rinchiuso il 3 marzo 1821 a Fenestrelle, fu liberato il 13 grazie all’intervento di Carlo Alberto.

Divenuto tenente colonnello del battaglione Cacciatori d’Ivrea, creato il 20 marzo 1821, quando Perrone era giunto nella città piemontese con Pier Alessandro Garda per prendere il comando di questo corpo di volontari, fu condannato a morte e alla confisca dei beni (10 agosto 1821), ma riparò in Francia dopo aver valicato le Alpi Cozie nella zona del Queiraz con il conte Vittorio Morozzo di San Michele, che aveva svolto un ruolo di primo piano nella sollevazione militare. A causa delle difficoltà incontrate dagli esuli italiani condannati a morte in contumacia, Perrone non si fermò a Parigi, ma si spinse fino in Inghilterra, dove si trattenne fino al 1823, rientrando quindi nella capitale francese con l’aiuto della sorella Carolina. Nel marzo 1823 si era stabilito a casa del fratello Carlo Valerico, ma cambiò più di un domicilio, appoggiandosi anche alla sorella, per sfuggire ai controlli serrati delle autorità. Nel 1824 si recò in Svizzera ufficialmente per visitare un’azienda agricola nei pressi di Berna; rientrò in Francia risiedendo per qualche tempo a Lione, punto di riferimento per i cospiratori, senza peraltro mai incorrere in alcuna sanzione per la sua condotta.

Riprese la carriera militare nell’agosto 1830 con il grado di capobattaglione, ossia di maggiore, nel V Fanteria. In settembre fu promosso tenente colonnello, in novembre ufficiale d’ordinanza del maresciallo Gérard, con il quale prese parte alla campagna per l’indipendenza belga. Colonnello comandante del 27° Fanteria nel 1832, ottenne due anni dopo il titolo di commendatore della Legion d’onore.  

Nel 1835 Perrone fu inviato in missione in Grecia per conto del ministro degli Esteri francese. Lo stesso anno, stando alla testimonianza dell’autobiografia del generale Enrico Morozzo della Rocca, tornò in Piemonte, nel Canavese, con l’obbligo di tenersi lontano da Torino a causa della sua condanna in contumacia. Nel 1835 era morta la madre e nel 1836 morì il padre. Nel 1837 si aggiunse il lutto per la morte a Roma, dove era ambasciatore, del cognato, marchese Florimond De Fay La Tour-Maubourg.

In quegli anni circolò a stampa un suo trattato, Petition contre le duel, adressée à la chambre des deputés (Paris 1836: un esemplare conservato a Torino, Accademia delle scienze), in cui condannava l’antica pratica del duello come una forma non tanto di coraggio, quanto di libertinismo e depravazione: ogni forma di violenza, nel suo pensiero, doveva rispondere a una giusta causa, come quelle in cui si fece coinvolgere in nome degli ideali liberali.
Nel 1839 Perrone giunse al culmine della carriera nell’esercito francese con i gradi di maresciallo di campo e comandante del Dipartimento della Loira (1839-45). Dal 1845 al 1848 fu comandante del Dipartimento del Rodano, carica che interruppe recandosi in Italia per partecipare alla prima guerra d’indipendenza. La caduta di Luigi Filippo (1848) lo aveva, infatti, liberato dall’obbligo di prestare fedeltà alla corona di Francia. Da posizioni liberali moderate, ebbe validi motivi per appoggiare la nuova ondata insurrezionale italiana. Graziato dal sovrano sabaudo, rientrò dunque in Piemonte e fu incaricato dal governo provvisorio lombardo di organizzare l’esercito al posto del generale Teodoro Lechi, partecipando alle campagne del 1848 a capo della prima divisione di Lombardia, senza tuttavia poter disporre di adeguati mezzi per addestrare e rifornire le proprie truppe. Ricevette quindi l’ordine di prender parte alle operazioni lungo il Mincio, dove incontrò e si unì alle truppe di Carlo Alberto.  

Entrato a far parte del governo presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno, come ministro degli Esteri sottoscrisse l’armistizio stipulato dal re di Sardegna con l’Austria. Dall’11 ottobre al 16 dicembre 1848 svolse le funzioni di presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna. Gran croce dell’Ordine mauriziano, volle partecipare ancora alle campagne del 1849. Il decreto di nomina che lo pose al comando della terza divisione entrò in vigore il 19 marzo 1849. Alcuni importanti cambiamenti negli alti gradi dell’esercito piemontese avevano creato non poche difficoltà logistiche, in cui fu coinvolto anche Perrone, che aveva sostituito il generale Mario Broglia. Il 20 marzo ricevette l’ordine di tenersi pronto a rincalzare la divisione che, con il re, si trovava al ponte sul Ticino sulla strada Novara-Milano. Il 23 marzo si trovava schierato con l’esercito piemontese davanti a Novara, fra i torrenti Agogna e Terdoppio. Iniziava l’ultima fase di quella sfortunata impresa. In una gelida e piovigginosa mattinata, nei pressi della cascina Cavallotta, due divisioni contrapposte, quella austriaca dell’arciduca Alberto e quella di Perrone, si trovarono a combattere del tutto logore e sfilacciate.

Ferito alla testa, Perrone fu condotto per un’ultima volta alla presenza di Carlo Alberto e infine soccorso a Novara, dove lo raggiunse la moglie, che lo vide spirare il 29 marzo 1849. Il re di Sardegna concesse alla sua memoria la medaglia d’oro al valor militare.

Aveva sposato a Parigi in seconde nozze (2 febbraio 1833) Adrienne Jenny Florimonde de Fay de la Tour Maubourg (1812-1897), dopo essersi unito in un primo matrimonio con la sorella Louise, nipote per parte materna del famoso generale La Fayette che aveva combattuto per l’indipendenza americana e poi in difesa della Francia repubblicana contro le potenze coalizzate.

I figli di Perrone vissero tra Francia e Italia. Paolo nacque a Lione nel 1834 e morì nel 1897. Luigi Ferdinando nacque a Torino, dove morì (1835-1864). Fu ufficiale d’ordinanza onorario di Eugenio di Carignano (1861), nel 1855 fu ammesso, dopo esame di concorso, al ministero degli Esteri come volontario diplomatico. Nel 1856 era a Londra. Nel 1859 a Firenze; lo stesso anno terminò gli studi alla scuola militare di Ivrea diventando sottotenente di cavalleria. Nel 1860 entrò nella carriera diplomatica come segretario di legazione di seconda classe. Nel 1861 era segretario privato di Eugenio di Carignano, luogotenente generale del re in Toscana. Lo stesso anno fu addetto alla luogotenenza generale del re di Napoli come segretario particolare del principe di Carignano. Nel maggio 1861 fu destinato a Berlino, nel 1863 fu promosso segretario di legazione di prima classe.

Roberto nacque nel 1836 presso il castello La Grange del bisnonno Lafayette, situato a circa trenta miglia a est di Parigi, morì a Perosa nel 1900. Luisa (Lille 1838 - Torino 1880) sposò il conte Felice Rignon. Arturo (La Grange 1839 - Torino 1903) fu militare di carriera e deputato nella XI, XII, XIV, XVII, XVIII legislatura del Regno d’Italia.

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di Paola Bianchi

Fonti e Bibl.: E. Morozzo della Rocca, Autobiografia di un veterano. Ricordi storici e aneddotici 1807-1859, I, Bologna 1897, p. 102; Carlo Alberto re di Sardegna, Memorie inedite del 1848: con uno studio sulla campagna del 1848 e con un’appendice di documenti inediti o sconosciuti; tradotte sugli autografi francesi del re da Carlo Promis, pubblicate e commentate da Alberto Lumbroso, Milano 1935, pp. 270-273; R. Nasi, Diario della Campagna d’Indipendenza 1848-1849, dal carteggio inedito di un ufficiale di Cavalleria, Pinerolo 1985, p. 127.
A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848: memorie raccolte da Atto Vannucci, I, Livorno 1849, p. 205; G.B. Cerruti, Cenni sulla vita del barone Perrone di San Martino offerti agli italiani da G.B. C. capitano delle truppe lombarde durante le campagne 1848-1849, Torino 1850; E. Poerio, Il generale E. P. barone di San Martino, in Pantheon dei martiri della libertà italiana: opera compilata da vari letterati, I, Torino 1852, pp. 513-524; F.A. Pinelli, Storia militare del Piemonte in continuazione di quella del Saluzzo, cioè dalla pace d’Aquisgrana sino ai dì nostri, II, Torino 1854, pp. 391, 540; P. Baratono, Nella solenne inaugurazione del monumento eretto in Ivrea a E. P. di San Martino. Discorso commemorativo del cav., avv. Pietro Baratono, Ivrea 1880; C.N. Desjoyaux, Le géneral baron P. di San Martino, Torino 1912; F. Lemmi, Il processo del principe della Cisterna, Torino 1922, passim; D. Anelli, Un’eroica figura del Risorgimento: E. P. di San Martino, Ivrea 1949; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, pp. 91-93, 282, 286, 291, 300, 303-305, 307, 313, 324, 835; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri, Roma 1987, pp. 572 s.; G.P. Romagnani, Prospero Balbo. Intellettuale e uomo di Stato, II, Da Napoleone a Carlo Alberto (1800-1837), Torino 1990, pp. 528 s., 532; G. Monsagrati, E. P. di San Martino, in Cesare Balbo, Gabrio Casati, Cesare Alfieri di Sostegno, E. P. di San Martino, Roma 1992, passim; S.C. Hughes, Politics of the sword. Dueling, honor and masculinity in modern Italy, Columbus 2007, p. 248; V. Ilari et al., Dizionario biografico dell’armata sarda. Seimila biografie (1799-1821) con la storia dell’Ordine Militare di Savoia e l’elenco dei primi decorati, Invorio 2008, pp. 385 s.; R. Damilano, Il generale E. P. di San Martino. Sua vita, suoi tempi, Ivrea 2011.                                         
                                                                                                   
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