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STORIA - DAL 1769 AL 1805
CAMPAGNA D'ITALIA - PIEMONTE
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Audio-racconto di Sergio Valzania

27 Marzo 1796 - Una marcia trionfale


L'ascesa di Napoleone ebbe inizio in Italia, patria dei suoi antenati. Lì, tra il 1796 e il 1797, egli mostrò per la prima volta le sue doti di stratega, trasformando un'armata allo sbando in un esercito formidabile con cui sconfisse ripetutamente Austriaci e Piemontesi. Il 9 marzo 1796 Napoleone sposò Giuseppina Tascher de La Pagerie, vedova Beauharnais, già moglie di un ufficiale ghigliottinato dopo la rivoluzione. Dopo soli due giorni partì per Nizza per assumere il comando dei 38.000 uomini mal equipaggiati dell'Armata d'Italia.

"Io mi sento italiano o toscano piuttosto che corso". Così Napoleone, durante l'esilio di Sant'Elena confessava il proprio legame di sangue con la patria dei suoi antenati. E tuttaviam nel concreto svolgersi della sua attività politica, egli non si mostrò mai influenzato da questo senso di appartenenza, se non forse agli inizi della sua carriera quando, da giovane ufficiale, fece della "questione italiana" il cuore delle sue riflessioni politiche e militari. Non a caso, sin dal 1794, anno che passò confinato al Bureau Topographique, l'ufficio topografico dell'esercito francese, egli inondò i tavoli dei suoi superiori di missive con cui rimarcava come, a suo avviso, l'Italia settentrionale costituisse il punto focale della guerra che la Francia stava allora combattendo contro l'Austria, e suggeriva svariati piani per invaderla.


Tali proposte, snobbate dagli alti comandi francesi - che preferivano concentrare gli sforzi sul fronte tedesco del Reno - caddero nel vuoto.

Ma almeno un effetto  lo produssero: spinsero alle dimissioni il comandante dell'Armata d'Italia Barthélemy Louis Joseph Scherer, esasperato dalle intromissioni di quel giovane che sembrava mettere sotto accusa il suo comportamento nella Penisola.
Una decisione, quella del generale, che involontariamente spianò la strada proprio a Napoleone, chiamato a sostituire Scherer in virtù dell'amicizia con Paul Barras, mente politica del Direttorio, il governo collegiale della Francia rivoluzionaria.

Una missione difensiva
Al momento di assumere l'incarico, Napoleone ricevette tuttavia ordini ben precisi: all'Armata d'Italia, nella guerra in corso, era affidata una missione prettamente difensiva, ossia impegnare quante più forze nemiche possibile per sottrarle dal fronte principale della guerra, che restava quello tedesco.


Se le operazioni fossero andate particolarmente bene, il generale avrebbe potuto avanzare nella Pianura Padana e spingersi fino alle rive dell'Adige, in Veneto; ma lì avrebbe dovuto in ogni caso arrestarsi, nell'attesa che da nord calassero le truppe del generale Jean Victor Marie Moreau, comandante dell'Armata del Reno. Napoleone, naturalmente, non era d'accordo. Ora più che mai, egli era convinto che, se l'Austria poteva essere battuta, ciò sarebbe avvenuto in Italia. E non solo perché lì le forze asburgiche erano troppo disperse sul territorio e macchinose nei movimenti per contrastare al rapidità di spostamento dell'armata francese, ma anche perché una buona parte delle truppe che presidiavano l'area appartenevano al Regno di Sardegna, e notoriamente tra i comandi asburgici e quelli piemontesi non correva buon sangue. Dall'Italia dunque, secondo Bonaparte, venivano per la Francia le migliori opportunità di vittoria sull'Austria e in Italia esistevano i presupposti più favorevoli per sfondare le difese nemiche e marciare su Vienna.


L'Armata dei cenciosi

Perché ciò potesse accadere, occorreva tuttavia un esercito compatto, motivato ed efficiente, cosa che di certol'Armata d'Italia non poteva dirsi. Ribattezzata spregiativamente "Armata dei cenciosi", essa vantava ufficialmente 63.000 uomini, dei quali tuttavia più della metà erano inutilizzabili, vuoi per problemi di salute, vuoi per scarso addestramento.

Ma anche tra le forze disponibili, ben poche erano quelle su cui Napoleone poteva realmente contare: malpagte, denutrite, male equipaggiate, le truppe francesi d'Italia erano infatti il peggio dell'esercito rivoluzionario, un'accozzaglia di disperati ricordata più per gli stracci che indossava e i continui ammutinamenti che per le sue imprese belliche.

Oltretutto i quattro comandanti delle divisioni da cui era composta - Pierre Angereau, André Masséna, Jean Mathieu Sérurier e Amédée Laharpe - erano in perenne disaccordo tra loro, e già avevano manifestato il loro malanimo nei confronti di Bonaparte, ritenuto un raccomandato privo di esperienza sul campo e abile soprattutto negli intrallazzi politici.
Il primo compito di Napoleone, una volta ottenuto il comando dell'Armata d'Italia, fu dunque quello di imporre l'obbedienza ai suoi generali.
A tale scopo li convocò immediatamente nel suo quartier generale di Nizza e, ben sapendo quanto fosse importante quel primo approccio, si mostrò autoritario nei modi e il più possibile spiccio nei comandi: "Quando si mise in capo il cappello da generale", avrebbe scritto in seguito il generale André Masséna, "parve eesere cresciuto di colpo di un mezzo metro".

Si dedicò quindi al riordino delle truppe, di cui migliorò le condizioni materiali attraverso un programma di requisizioni sul territorio che, in due settimane, consentì di corrispondere ai soldati le paghe arretrate e di regolarizzare le forniture del rancio.

Venne quindi migliorato l'armamento, rastrellando qua e là fucili d'ogni tipo, e il commissario politico dell'armata, Antoine Christophe Saliceti, fece persino il miracolo di procurarsi 80 cannoni da campo e 24 obici da montagna, creando un piccolo reparto di artiglieria.

A quel punto l'Armata d'Italia non era ancora l'esercito soganto da Napoleone, ma aveva almeno smesso di somigliare a una banda di ribelli e pareva disposta a concedere al nuovo comandante una prudente fiducia.

Mentre Saliceti provvedeva alle questioni materiali, il generale corso trascorreva le giornate piegato sulle mappe di guerra ("passava per un matematico o per un visionario" avrebbe scritto ancora Masséna), nel tentativo di perfezionare il proprio piano di guerra.

La sua idea era di invadere il Piemonte da sud, muovendo dalla costa ligure dove, tra Nizza e Savona, era concentrato il grosso delle forze francesi. Ma in che punto sferrare l'attacco decisivo?
L'Esercito asburgico guidato dall'anziano feldmaresciallo Jean Pierre de Beaulieau, era diviso in tre tronconi: 20.000 uomini si trovavano ad Alessandria ai comandi dello stesso maresciallo, altri 6.000 proteggevano le fortezze lombardo-venete di Mantova, Peschiera del Garda e Verona, mentre 8.000 uomini presidiavano la costa ligure presso Genova.

A queste forze si aggiungevano poi i 23.000 uomini disposti "a V" tra l'Apennino ligure e le langhe, lungo i confini meridionali del Piemonte: 11.000 erano austriaci e, sotto la guida del generale Eugen Mercy Argenteau, presidiavano la linea difensiva tra i comuni di Dego e Carcare, nell'entroterra savonese, mentre più a ovest, tra Cosseria (vicino a Carcare) e Ceva, si addensavano 12.000 piemontesi agli ordini del generale Michele Colli.

Il Boureau Topographique

Il periodo che Napoleone trascorse presso il Bureau Topographique, l'ufficio topografico dell'esercito francese, fu tra i peggiori della sua vita. Epurato da tutti i ruoli operativi, guardato con sospetto dai vertici militari per le sue passate simpatie verso il regime di Robespierre (abbattuto dal colpo di Stato del 9 Termidoro), costretto a una vita d'ufficio che detestava, il futuro imperatore si gettò, come avrebbe scritto più tardi, "a sfogliare cartacce solo perché qualsiasi cosa era meglio dell'inattività". Eppure, proprio da quei mesi difficili, egli trasse forse più beneficio che da qualunque altra sua esperienza giovanile.

12 Aprile 1796 - Cairo Montenotte

A Carcare, dunque, si trovava il punto di raccordo tra le difese austriache e piemontesi, e proprio lì si apriva un piccolo varco, non più di quattro/cinque chilometri, nel quale Napoleone decise di insinuarsi: l'obiettivo era di frapporre le proprie truppe tra i due schieramenti, in modo da dividerli e poterli poi affrontare separatamente.

Le operazioni militari ebbero inizio l'11 aprile del 1796 e, come previsto da Napoleone Bonaparte, furono facilitate dallo scarso coordinamento tra gli eserciti alleati. Gli uomini dell'Armata d'Italia infiammati dalle promesse del loro generale ("Soldati, voi siete nudi, mal nutriti.

La Francia molto vi deve ma nulla può darvi. Io vi condurrò nelle più fertili pianure della Terra: vi troverete onore, gloria, ricchezze") occuparono senza incontrare ostacoli Carcare, e da lì puntarono contro l'esercito austriaco, che misero in rotta nella battaglia di Cairo Montenotte.
Il piano del generale Bonaparte prevedeva che la divisione del generale Massena, partendo da Savona, avrebbe attraversato il colle di Cadibona e avrebbe marciato su Carcare dove sarebbe stata raggiunta dalla divisione del generale Augereau, proveniente da Finale Ligure; le due forze concentrate, costituite complessivamente da 24.000 soldati, avrebbero quindi attaccato in massa il varco tra Carcare e Cosseria. Una serie di manovre diversive e movimenti secondari avrebbero dovuto attrarre l'attenzione dei nemici e mascherare il movimento principale verso Carcare.
Ad ovest il generale Sérurier con 10.000 uomini doveva prendere la via della montagna lungo la valle del Tanaro da Ormea in direzione di Garessio; i piccoli reparti dei generali Macquart e Garnier avrebbero finto un attacco su Cuneo passando per il col di Tenda, mentre il generale Laharpe avrebbe impegnato una parte delle sue forze verso Sassello. Il generale Bonaparte prevedeva che questi movimenti secondari avessero inizio il 13 aprile. Inoltre sull'estrema ala destra, lungo la strada costiera, era già in corso, su iniziativa del commissario Saliceti, la manovra delle truppe del generale Jean-Baptiste Cervoni in direzione di Voltri per intimorire la Repubblica di Genova, requisire risorse e ottenere denaro per rifornire l'armata.

L'avanzata del generale Cervoni lungo la costiera ligure fino a Voltri e le energiche richieste del commissario Saliceti al Senato di Genova fecero grande impressione; il rappresentante della Repubblica richiedeva il libero passaggio per il passo della Bocchetta e annunciava l'imminente avanzata francese in Lombardia. Queste notizie suscitarono vivo allarme nei comandi austriaci e piemontesi e il generale Beaulieu decise di prendere provvedimenti immediati per proteggere Genova e sbarrare il passo ai francesi; egli sottovalutò la minaccia nemica verso il settore Cosseria-Carcare e ritenne possibile invece organizzare una complessa operazione controffensiva su colonne separate per aggirare e sconfiggere l'armata nemica.

I piani del generale Beaulieu prevedevano che, mentre il generale Colli copriva le posizioni difensive tra Ceva e Carcare, il generale d'Argenteau avrebbe impegnato una parte delle sue forze per attaccare il fianco sinistro delle truppe francesi della divisione del generale Laharpe, marciando da Sassello a Montenotte ed a Savona. Il generale Beaulieu infine avrebbe diretto l'avanzata di altre truppe austriache dal passo della Bocchetta verso Voltri per proteggere Genova e bloccare l'avanzata del generale Cervoni. Il generale Bonaparte aveva conoscenza del piano di controffensiva del nemico; egli tuttavia rimase ottimista e risoluto; egli considerò che il progetto nemico, prevedendo una complicata marcia di numerose colonne separate attraverso un terreno montuoso con scarsi collegamenti laterali, avrebbe al contrario favorito i suoi piani.

Il comandante dell'Armata d'Italia, avendo mantenuto concentrato il grosso delle sue forze e disponendo di buone strade, ritenne di avere la possibilità e il tempo di sferrare l'attacco in massa su Carcare e di poter raggiungere lo sfondamento, cogliendo disuniti e frammentati i distaccamenti nemici, esposti alla sconfitta l'uno dopo l'altro.
L'offensiva austriaca ebbe inizio il 10 aprile e quindi il generale Bonaparte, dopo aver individuato la direzione degli attacchi nemici, decise di anticipare i suoi piani e di iniziare a sua volta la marcia su Carcare. Le colonne austriache non riuscirono a coordinare le loro manovre e, a causa di ritardi nella trasmissione degli ordini, le truppe del generale d'Argenteau non furono in posizione fino all'11 aprile mentre le colonne del generale Beaulieau avevano attaccato il generale Cervoni a Voltri fin dal giorno precedente.


Dopo aver raggiunto Cairo Montenotte, il generale d'Argenteau avanzò finalmente verso monte Legino dove però il colonnello Antoine-Guillaume Rampon, comandante delle truppe francesi incaricate della difesa delle ridotte, prima guadagnò tempo spingendo avanti le sue avanguardie, e quindi respinse tre attacchi nemici nel pomeriggio dell'11 aprile; gli austriaci, esausti, si fermarono sulle posizioni a nord di monte Legino.


Nel frattempo, il 10 aprile, il generale Beaulieau aveva attaccato le truppe del generale Cervoni a Voltri; il comandante francese condusse un abile combattimento difensivo, resistendo per l'intera giornata; l'11 aprile egli schierò le sue forze sulla posizione di monte Forcella, quindi nella notte si ritirò metodicamente fino a ricongiungersi con il grosso della divisione del generale Laharpe posizionata nelle retrovie del contingente del colonnello Rampon a monte Legino. Rassicurato dall'andamento delle operazioni nel settore di Voltri e di Savona, il generale Bonaparte poté quindi continuare la sua offensiva a sorpresa contro la cerniera di Carcare. Nella notte del 12 aprile il generale fece avanzare la divisione del generale Massena che dal colle di Cadibona sbucò dietro l'abitato di Cairo Montenotte, e la divisione del generale Augereau che marciò da Finale Ligure; le truppe francesi stavano per raggiungere di sorpresa una posizione al centro dello schieramento generale austro-piemontese e alle spalle delle truppe del generale d'Argenteau. Nonostante il ritardo della divisione del generale Augereau, che fu ritardata durante l'avanzata e raggiunse Carcare solo alla mezzanotte del 12 aprile, la posizione venne occupata dopo una frenetica marcia forzata dai soldati del generale Massena che quindi al mattino del 12 aprile poterono sferrare l'attacco decisivo.

La battaglia di Montenotte il 12 aprile si concluse con la completa vittoria dei francesi; le truppe del generale d'Argenteau, 6.000 soldati, vennero attaccate frontalmente da monte Legino dai reparti del generale Laharpe e del colonnello Rampon, mentre il generale Massena sbucò con la sua divisione sul fianco e alle spalle degli austriaci. I francesi sbaragliarono il nemico, catturarono 2.000 prigionieri, quattro bandiere e cinque cannoni; il generale d'Argenteau, attaccato da tutte le direzioni, poté ripiegare verso Dego con soli 700 uomini superstiti. Nella giornata il generale Bonaparte raggiunse con il suo quartier generale Carcare, mentre nella notte cominciarono ad affluire le truppe del generale Augereau; il comandante dell'Armata d'Italia aveva riportato un primo importante successo e aveva separato in due parti il fronte nemico.

13 Aprile 1796 - Battaglia di Millesimo

Il generale Beaulieu venne a conoscenza del disastro di Montenotte solo il 13 aprile; disponendo di strade disagevoli, egli poté ripiegare solo con grande difficoltà e dopo due giorni riuscì a concentrare una parte delle sue truppe a Dego per sbarrare la strada di Acqui, mentre altri dieci giorni furono necessari per ritirate i contingenti rimasti indietro a Voltri e al passo della Bocchetta. Mentre gli austriaci cercavano frettolosamente di organizzare un nuovo schieramento a Dego, il generale Colli aveva rafforzato le truppe piemontesi che, posizionate a Millesimo e a Biestro, difendevano la strada per Torino. Il generale Bonaparte era deciso a sfruttare subito la favorevole situazione; dopo lo sfondamento centrale e la frammentazione delle forze nemiche, egli decise di effettuare una nuova concentrazione strategica contro i piemontesi a ovest, facendo risalire da Garessio la divisione del generale Sérurier e impegnando la divisione del generale Augereau che, giunta finalmente a Carcare, avrebbe marciato su Millesimo.

Il generale Massena sarebbe contemporaneamente avanzato con una parte delle sue forze verso Dego, mentre il generale Laharpe sarebbe rimasto in un primo tempo a Montenotte.
Dopo essere avanzato con grande rapidità, il generale Augereau attaccò i piemontesi il 13 aprile, sbaragliò l'ala destra nemica nella battaglia di Millesimo e conquistò la cittadina; i francesi aggirano da nord la posizione di Cosseria dove 2.000 soldati al comando del generale Giovanni Provera rimasero circondati. Il generale piemontese tuttavia organizzò una tenace resistenza a Cosseria, fortificando le sue posizioni all'interno del vecchio castello, e nella giornata respinse una serie di attacchi.


I francesi subirono la perdita di circa 800 uomini e non riuscirono a conquistare la posizione; anche un ultimo attacco guidato dal colonnello Barthélemy Joubert non raggiunse il successo. Nel frattempo il generale Massena giunse davanti a Dego nella giornata del 13 aprile; ma il generale Bonaparte, recatosi sul posto, gli ordinò in un primo tempo di attendere notizie del successo a Cosseria; il generale Massena quindi, preoccupato anche per il numero delle truppe austriache di fronte a lui, non sferrò l'attacco e una violenta pioggia rese difficoltoso l'afflusso di truppe e materiali.


15 Aprile 1796 - Dego e Cosseria

Il 14 aprile il generale Bonaparte, che si spostava continuamente da un settore all'altro per controllare tutti i combattimenti, decise di concentrare lo sforzo principale contro Dego; il generale Massena venne rinforzato con una parte delle truppe del generale Laharpe e del generale Augereau, mentre il generale Provera venne assediato a Cosseria.
I soldati francesi sferrarono con grande impeto un violento attacco frontale contro Dego a mezzogiorno del 14 aprile e, dopo violenti scontri, travolsero le difese austriache e conquistarono la città; l'inseguimento della cavalleria leggera attraverso la gola di Spigno si concluse con una vittoria completa; vennero catturati 6.000 prigionieri, trenta cannoni, sessanti cassoni d'artiglieria.
I francesi raggiunsero altri successi a Biestro che venne occupata dalle truppe del generale Philippe Romain Ménard, mentre, dopo il fallimento di un tentativo del generale Colli di aiutare le truppe assediate a Cosseria, il generale Provera si arrese e la posizione cadde in mano francese. Il generale Colli ripiegò su Ceva mentre il generale Beaulieu raggiunse con il suo quartier generale Acqui; le forze austro-piemontesi, indebolite dalle continue sconfitte, erano completamente separate.

21 Aprile 1796 - Battaglia di Mondovì


Dopo la serie di vittorie, i francesi vennero inaspettatmente sorpresi al primo mattino del 15 aprile dall'arrivo sul campo di battaglia di Dego della divisione austriaca del generale Joseph Philipp Vukasović proveniente dalla strada di Voltri e Sassello. La divisione del generale Massena venne colta completamente di sorpresa; le truppe erano disperse, impreparate e in parte disorganizzate dopo il saccheggio dei territori e solo pochi battaglioni erano ancora a Dego; l'attacco austriaco ebbe quindi successo. Dego venne riconquistata, i deboli reparti francesi si ritirarono nella confusione e lo stesso generale Massena venne sorpreso nella casa di una sua amante e dovette fuggire precipitosamente dalla città per evitare la cattura.


Il generale Bonaparte ricevette queste inattese notizie che crearono grande allarme al quartier generale francese; egli si recò subito sul postò per risabilire la situazione; il generale decise di contrattaccare con la divisione del generale Laharpe fatta affluire da Montenotte e con i reparti rioganizzati della divisione del generale Massena. La battaglia di Dego del 15 aprile continuò per due ore e si concluse con una nuova vittoria del generale Bonaparte; al costo di circa 910 morti e 1.200 feriti, i francesi riconquistarono Dego e le forze austriache vennero quasi completamente distrutte.

Nel momento critico della battaglia il generale François Lanusse dimostrò grande spirito offensivo e conquistò i rilievi sulla sinistra della città; nella battaglia si distinsero anche i generali Jean-Jacques Causse e Pierre Banel che rimasero uccisi durante gli scontri e il comandante di battaglione Jean Lannes che il generale Bonaparte promosse sul campo al grado di colonnello.
Dopo la vittoria definitiva a Dego il comandante dell'Armata d'Italia decise di concentrare rapidamente il grosso delle sue truppe contro i piemontesi del generale Colli; il generale Laharpe rimase al campo di San Benedetto Belbo, dove le truppe francesi rimasero per alcuni giorni controllando le forze austriache che il generale Beaulieu stava cercando di raggruppare ad Acqui e saccheggiando il territorio per superare le forti carenze di rifornimenti e di trasporti. Nel frattempo il generale Bonaparte diresse la divisione del generale Augereau verso Ceva da est, mentre il generale Sérurier da Garessio avrebbe dovuto attaccare da sud; i soldati del generale Augereau raggiunsero le alture di Montezemolo, mentre a sud i francesi occuparono l'altura di San Giovanni Murialdo. Tuttavia il generale Colli, ritenendo pericolosa la sua posizione a Ceva, decise di rinunciare a difendere la posizione, abbandonò il campo trincerato di Ceva, ripiegò dietro il Tanaro e il Corsaglia e prese posizione tra Mondovì e Madonna di Vico.
Il 17 aprile le truppe del generale Sérurier e del generale Augereau occuparono Ceva senza combattere e catturarono l'artiglieria campale piemontese che il generale Colli non aveva potuto evacuare; il generale Bonaparte raggiunse Ceva lo stesso giorno con il suo quartier generale e poté constatare la riuscita dei suoi piani. Le montagne erano state superate e dalle alture di Montezemolo i soldati e gli ufficiali francesi poterono vedere le vaste e ricche pianure piemontesi ormai aperte alla loro conquista; era improvvisamente crollato l'ostacolo delle apparentemente invalicabili catene montuose che "sembravano il confine di un nuovo mondo".
L'armata francese quindi attraversò subito il Tanaro e iniziò ad avanzare nella pianura; le limitate forze di cavalleria francesi al comando del generale Henri Stengel poterono essere finalmente impiegate, raggiunsero Lesegno il 18 aprile e perlustrarono il territorio all'avanguardia, mentre il generale Bonaparte si portò a sua volta qualche ora dopo a Lesegno con il suo quartier generale. Il comandante dell'armata riprese subito l'offensiva per sconfiggere definitivamente le truppe piemontesi del generale Colli che erano attestati dietro il Corsaglia.
Il primo tentativo di superare il Corsaglia non ebbe successo il 19 aprile; mentre il generale Massena attraversava il Tanaro a nord, il generale Sérurier cercò di avanzare per il ponte di San Michele a sud, ma il generale Colli, preoccupato per la debolezza della sua posizione, aveva deciso di ripiegare sull'ala destra verso Mondovì, riuscì a concentrare le sue forze a San Michele e respinse i francesi che dovettero abbandonare le posizioni momentaneamente conquistate. Il generale Bonaparte, dopo aver ipotizzato di attaccare subito il 20 aprile, decise di rinviare l'attacco al 21 aprile per riorganizzare le sue forze; dopo l'arrivo delle divisioni del generale Massena e del generale Augereau, il generale poté sferrare un attacco su tre colonne che prima avrebbero dovuto avanzare contemporaneamente da Lesegno, dal ponte di San Michele a sud e a nord verso Breo e quindi marciare su Mondovì.
Il generale Colli aveva cercato di rinforzare le sue difese con fortificazioni campali ma il 21 aprile la battaglia di Mondovì si concluse con la netta sconfitta dell'esercito piemontese; mentre i generali Massena e Augereau attraversavano il Corsaglia e attaccavano le posizioni nemiche, fu la divisione del generale Sérurier che sferrò l'assalto decisivo, sbaragliò le difese piemontesi e conquistò Mondovì. Il generale Sérurier guidò personalmente l'assalto alla baionetta dei suoi soldati che mise in fuga i nemici, la città e i depositi dell'armata piemontese furono occupati dai francesi. Nella fase di inseguimento dopo la battaglia cadde il generale francese Stengel che, distaccatosi in avanti con i suoi cavalieri, venne contrattaccato dalla cavalleria piemontese; infine l'intervento di tre reggimenti di cavalleria al comando del colonnello Murat sconfisse a sua volta il nemico che venne inseguito per alcune ore. I piemontesi avevano subito la perdita nella battaglia di Mondovì di 3.000 morti e feriti, mentre i francesi catturarono 1.500 prigionieri, otto cannoni e dieci bandiere.
Nel pomeriggio le truppe francesi vittoriose persero in parte la loro coesione e si abbandonarono a saccheggi e devastazioni che durarono per oltre 48 ore; il generale Bonaparte dovette intervenire personalmente per frenare le truppe e diramò un duro proclama di rimprovero per questi eccessi, mentre il 23 aprile inviò un dettagliato rapporto al Direttorio in cui lamentò la miseria dell'armata, illustrò le brillanti vittorie e anticipò la possibilità di richieste di sospensione delle operazioni da parte piemontese. Il 24 aprile scrisse anche un'altra delle sue quotidiane e appassionate lettere d'amore alla moglie.

28 Aprile 1796 - Armistizio di Cherasco

Dopo la vittoria di Mondovì il generale Bonaparte fu in grado di proseguire rapidamente l'avanzata in Piemonte e l'Armata d'Italia marciò su tre colonne verso Cherasco, verso Fossano e verso Alba. Mentre il generale Augereau marciava su Alba, il generale Sérurier raggiunse ed occupò Fossano dove, dopo un nuovo combattimento, costrinse alla ritirata le retroguardie piemontesi del generale Colli; lo stesso giorno il comandante in capo dell'armata entrò a Cherasco dove venne installato il nuovo quartier generale, mentre avanguardie vennero spinte oltre lo Stura in direzione di Bra.
Le nuove posizioni raggiunte dall'Armata d'Italia a Cherasco erano strategicamente importanti e dominavano lo sbocco dello Stura nel Tanaro; il generale Bonaparte quindi decise di organizzare la difesa sfruttando i materiali catturati nei depositi della città; attraverso le nuove vie di comunicazioni con Nizza passanti per Ponte di Nava, l'armata francese poté ricevere finalmente rinforzi di artiglieria e nuovi materiali di equipaggiamento.


Dopo la continua serie di vittorie e le frenetiche marce lungo le vallate di montagna, i soldati francesi avevano raggiunto posizioni sicure in pianura e, dopo aver depredato e saccheggiato il territorio nemico per rifornirsi, potevano finalmente disporre di sufficienti materiali di rifornimento che permisero di migliorare in modo sostanziale la condizione delle truppe e di accrescere l'ordine e la disciplina nei reparti. L'Armata d'Italia aveva superato le sue gravissime difficoltà materiali e aveva raggiunto decisivi successi strategici che ben presto provocarono nuovi e clamorosi sviluppi politico-diplomatici.

L'improvvisa avanzata francese in Piemonte e le pesanti sconfitte subite suscitarono grande preoccupazione nella corte del Regno di Sardegna; l'esercito piemontese era demoralizzato mentre le truppe austriache non sembravano disposte ad intervenire in aiuto e si limitavano a cercare di difendere la Lombardia.

Turbolenze politiche interne e segni di insofferenza tra la popolazione rischiavano di minare la solidità della monarchia e facevano temere una evoluzione rivoluzionaria filo-francese. In queste condizioni il re Vittorio Amedeo III, soprannominato spregiativamente dai francesi fin dal 1794 il "re delle marmotte", richiese al generale Bonaparte una sospensione delle operazioni militari. Il comandante in capo dell'armata non aveva i pieni poteri per negoziare e concludere un armistizio con una potenza belligerante ma le istruzioni del Direttorio prevedevano che egli potesse decidere secondo le circostanze se favorire un svolta rivoluzionaria in Piemonte o invece concludere, dopo la vittoria militare, una "alleanza vantaggiosa" con il re di Sardegna.

Il generale Bonaparte, fin da questo momento poco propenso ad assecondare il Direttorio, considerato struttura di potere inefficiente e corrotta, e consapevole dell'importanza dei suoi successi e del prestigio raggiunto in patria, decise di agire autonomamente dopo aver limitato anche le possibili interferenze del commissario Saliceti. Il comandante dell'Armata d'Italia riteneva problematico continuare le operazioni contro il Regno di Sardegna e avanzare verso Torino; la capitale piemontese era solidamente fortificata e l'esercito francese mancava di cannoni pesanti; inoltre l'esercito austriaco avrebbe potuto intervenire e, riunendosi con le forze sabaude, mettere in pericolo le vittorie già conseguite. In realtà il generale Bonaparte considerava molto più importante sconfiggere gli austriaci ed entrare in Italia, sfruttando la fama raggiunta con i suoi successi per sollevare le popolazioni contro le monarchie; egli quindi decise di rinunciare a detronizzare il "re delle marmotte" e invece concludere rapidamente un accordo che lo liberasse di uno dei suoi avversari. Dimostrando la sua autonomia dalle direttive del Direttorio,il generale diede prova di capacità politico-diplomatica; intimorì gli inviati del re di Sardegna e il 28 aprile venne concluso l'armistizio di Cherasco che sancì la vittoria francese e l'uscita del Regno di Sardegna dalla prima coalizione. Un plenipotenziario piemontese sarebbe stato subito inviato a Parigi per concludere un formale trattato di pace, mentre l'Armata d'Italia avrebbe mantenuto l'occupazione dei territori conquistati, avrebbe sfruttato le vie di comunicazione per rifornirsi e avrebbe preso possesso delle fortezze di Ceva, Cuneo e Tortona.

Il generale Bonaparte aveva concluso in pochi giorni le trattative e raggiunto un grande successo politico-militare; egli era libero di riprendere la campagna e penetrare nel cuore del dominio austriaco; il Direttorio, contrariato per l'indipendenza dell'autoritario generale, rimase sorpreso dalle inattese vittorie dell'Armata d'Italia e dal denaro e dai beni raccolti dal generale Bonaparte e inviati a Parigi. Il colonnello Murat fu incaricato dal comandante in capo di portare subito a Parigi le ventuno bandiere conquistate e le clausole dell'armistizio di Cherasco; le notizie delle vittorie suscitarono entusiasmo nella capitale francese, e per cinque volte, dal 21 al 25 aprile 1796, le assemblee legislative riunite deliberarono solenni ringraziamenti all'Armata d'Italia per i successi raggiunti.
Il generale Bonaparte fornì sul campo nei dieci giorni della campagna di Montenotte la prima dimostrazione pratica della sua famosa "strategia della posizione centrale" che egli avrebbe applicato ancora durante la sua carriera nelle situazioni strategiche in cui dovette affrontare contemporaneamente una serie di eserciti nemici, superiori numericamente ma lenti e mal collegati tra loro, quindi esposti alla manovre rapide e impetuose delle truppe francesi. Napoleone avrebbe paradossalmente concluso la sua carriera proprio conducendo in teoria la campagna di Waterloo con la stessa "strategia della posizione centrale" con cui aveva iniziato diciannove anni prima nella campagna di Montenotte. Secondo Emil Ludwig: "l'ultima sua battaglia si riallaccia così alla prima".

La novità assoluta della guerra napoleonica si mostrò nell'aprile 1796 nei dieci giorni di continue battaglie e di frenetici spostamenti che disorientarono completamente i generali nemici, incapaci di comprendere e di contrastare le strategie del giovane generale. Oltre alle sue superiori capacità strategiche e tattiche, il generale Bonaparte, giovane ed in piena salute, si dimostrò instancabile nell'azione, in completo contrasto con i suoi avversari, il settantaduenne generale Beaulieu e il generale Colli, sofferente di una grave forma di gotta.

Le truppe francesi, spinte dalle vecchie idealità rivoluzionarie e soprattutto dal legame personale instauratosi con il nuovo e vittorioso condottiero, avevano marciato e combattuto continuamente, permettendo al generale Bonaparte di mettere in pratica le sue teorie di distruzione totale dell'avversario, di attacco alle parti separate del nemico, di veloci concentrazioni successive di masse numericamente superiori sul campo di battaglia. Esaltati dai primi trionfalistici proclami del generale, al termine della prima fase della campagna i soldati francesi, ormai liberi di dilagare in pianura dopo il crollo dello sbarramento alpino, rimasero stupefatti per l'esaudirsi delle promesse del loro comandante; da quel momento essi si legarono al generale Bonaparte, assurto subito a personaggio superiore di rilievo epocale.
A Milano dove il generale Bonaparte sarebbe entrato alla testa dell'Armata d'Italia il 16 maggio 1796 dopo il passaggio del Po e dell'Adda e la ritirata austriaca verso il Trentino, egli avrebbe entusiasmato i suoi soldati ed anche la borghesia locale filofrancese parlando di "torrente" precipitatosi "dall'alto dell'Appennino", di amicizia tra "tutti i popoli", di "discendenti di Bruto e degli Scipioni" e di "gloria immortale di cambiar volto al più bel paese d'Europa". Il generale, di chiara origine italiana, dal nome così caratteristico, dalla sorprendente personalità, apparve in un primo tempo ai popoli d'Italia come il campione della libertà e dell'uguaglianza; l'epopea napoleonica era iniziata.

La Cittadella di Alessandria

La Cittadella di Alessandria viene occupata dall'esercito francese dopo l'Armistizio di Cherasco
Nel luglio del 1799 fu assediata dall'esercito austro russo di Aleksandr Vasil'evič Suvorov. Dopo tre giorni di bombardamento vennero inflitti gravi danni alle strutture fortificate e i francesi costretti alla resa.
Napoleone Bonaparte, dopo i trionfi della battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e l’ascesa al trono imperiale di Francia (2 dicembre 1804), decise di ampliare e restaurare la fortezza e di circondare la città con nuove difese e otto nuove fortificazioni allo scopo di realizzare una grande base logistica destinata a supportare le operazioni dell' esercito francese schierato nel Nord Italia, lo sviluppo urbano era previsto nell'abitato di Marengo.
Durante l'occupazione francese la posizione e l'efficacia delle moderne fortificazioni ha fatto della Cittadella una delle fortezze più spettacolari dell'impero e il più ricco arsenale di tutta Europa. La costruzione e lo stato di conservazione degli edifici napoleonici sono unici. Napoleone voleva fare della Cittadella la “porta orientale” della Francia.
Nel 1814 le armate austriache demolirono il campo trincerato francese risparmiando la Cittadella che fu consegnata al restaurato Regno di Sardegna. Dopo la Restaurazione il ripristino delle antiche mura dei Savoia ha dato ancora una volta un ruolo fondamentale alla Cittadella.
Inizialmente utilizzata come una testa di ponte del nuovo campo trincerato, Alessandria divenne alla metà del XIX secolo importante baluardo contro l’impero austriaco.

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