La campagna d'Italia del 1800 fu la serie di operazioni militari combattute nel 1800, durante la guerra della seconda coalizione, in Italia settentrionale dopo la caduta nel 1799 delle repubbliche sorelle filo-francesi e il ritorno del generale Napoleone Bonaparte dall'Egitto. Il generale, divenuto Primo console dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, organizzò e diresse un audace attraversamento delle Alpi per prendere alle spalle l'esercito austriaco che assediava le truppe francesi bloccate a Genova. Dopo la riuscita della manovra, Bonaparte avanzò nella Pianura padana e affrontò l'armata austriaca nella decisiva battaglia di Marengo che si concluse dopo alterne vicende con la vittoria dei francesi.
Dopo la battaglia, gli austriaci abbandonarono la Lombardia, il Piemonte e la Liguria e firmarono un armistizio temporaneo, e il Primo console poté restaurare il predominio francese nella penisola; le operazioni militari peraltro ripresero in inverno in Italia e Germania e terminarono solo nel 1801 con il trattato di Lunéville. La seconda campagna d'Italia di Bonaparte ebbe grande importanza strategica, ponendo le basi della vittoria francese nella guerra della seconda coalizione, ed anche politica per la carriera del Primo console che consolidò il suo potere e il suo prestigio in patria.
Si aprì quindi una fase invernale di negoziati tra le potenze ancora in lotta che tuttavia rivelò l'inconciliabilità dei loro obiettivi di guerra.
I liberali e i giacobini speravano in una sconfitta di Bonaparte per evitare un ulteriore evoluzione autoritaria del regime; il 3 giugno rientrò in Francia dalla Gran Bretagna anche Georges Cadoudal per riaccendere la ribellione nell'ovest.
Bonaparte si trovava in una situazione difficile, l'esito della campagna avrebbe avuto un'importanza decisiva per il suo futuro politico; egli era consapevole di queste difficoltà, tuttavia mostrava risolutezza, fiducia ed energia. Il Primo console fece grandi sforzi per migliorare l'equipaggiamento e l'armamento delle truppe; furono accumulate riserve soprattutto per l'Armata del Reno; furono fornite mezzo milioni di uniformi nuove; nei grandi depositi di Zurigo e Lucerna vennero raccolti 5.000 proiettili d'artiglieria, 2 milioni di pallottole e 1,5 milioni di razioni; l'Armata di riserva ricevette finalmente 100.000 paia di calzature[1]. Nonostante questi importanti risultati la situazione rimaneva precaria, l'Armata del Reno mancava di 15 milioni di paghe per i soldati, l'Armata di riserva andò in combattimento senza il soldo per le truppe.
Nonostante i pesanti impegni organizzativi e politici, Bonaparte portava avanti fin dalla fine del 1799 la pianificazione operativa della guerra e la costituzione delle forze necessarie; già il 5 dicembre 1799 venne previsto il raggruppamento della nuova Armata di riserva nella Francia centrale. L'organizzazione di queste nuove forze fu lenta, ma alla metà di aprile del 1800 si poté contare su 53.000 soldati; il 2 aprile il generale Louis Alexandre Berthier aveva ricevuto ufficialmente il comando della nuova armata, in realtà il Primo console intendeva, al momento opportuno, prendere personalmente la guida di queste forze. Particolarmente potenziata fu l'Armata del Reno, affidata al generale Jean Victor Moreau; 120.000 soldati furono concentrati sul fronte tedesco e Bonaparte previde per la prima volta la costituzione dei corpi d'armata autonomi, dando inizio all'importante riformava organica che avrebbe reso ancor più mobili e flessibili gli eserciti francesi. In Italia dopo la serie di sconfitte dell'estate 1799 le truppe superstiti dell'Armata d'Italia avevano ripiegato dietro l'Appennino ligure, abbandonando la Lombardia e il Piemonte; Bonaparte aveva assegnato all'esperto generale Andrea Massena il comando di queste forze che ammontavano a circa 40.000 soldati.
In un primo momento Bonaparte aveva ideato un complesso e audace piano di operazioni che assegnava il ruolo principale all'Armata del Reno; nel mese di marzo 1800 egli propose al generale Moreau di passare all'offensiva generale attraversando di sorpresa il Reno con il grosso delle sue truppe a Sciaffusa; in questo modo avrebbe intercettato le comunicazioni dell'esercito austriaco schierato nella Germania meridionale. Dopo questo successo decisivo, il Primo console intendeva trasferire in Svizzera l'Armata di riserva che si stava raggruppando tra Châlons e Lione; raggiunto il territorio elevetico, sarebbe stata rinforzata da una parte delle truppe del generale Moreau e avrebbe attraversato le Alpi al Passo del San Gottardo da dove avrebbe preso alle spalle l'armata austriaca in Italia impegnata nel frattempo dall'esercito del generale Massena. Si trattava di un piano di operazioni che, se attuato, avrebbe permesso di raggiungere rapidamente la vittoria.
I progetti di Bonaparte tuttavia ben presto furono contrastati dal generale Moreau che non collaborò alla realizzazione dell'audace manovra affidata all'Armata del Reno; prudente e poco aggressivo, il comandante dell'armata non condivideva i programmi del Primo console e quindi respinse il piano. Adducendo i problemi e i rischi connessi ad un attraversamento in massa a Sciaffusa, il generale Moreau avrebbe preferito scaglionare le sue forze su largo fronte lungo il confine prima di passare il fiume. Inoltre il generale Moreau era in contrasto anche personale con Bonaparte dal quale era diviso da una forte rivalità. Il Primo console dovette accettare le obiezioni del generale Moreau e preferì mostrare in pubblico condiscendenza verso il rivale; in realtà egli era molto contrariato dall'ostruzionismo del generale. Bonaparte quindi rinunciò al suo piano originario e decise di prendere personalmente l'iniziativa con l'Armata di riserva in Italia che sarebbe diventata il teatro bellico principale, mentre l'Armata del Reno avrebbe assunto un ruolo secondario in Germania.
Le nuove direttive per la campagna furono diramate il 25 marzo e prevedevano che il generale Moreau avrebbe sferrato un attacco secondario tra il 10 e il 20 aprile per costringere l'esercito austriaco a ripiegare verso Ulma; l'attacco principale sarebbe stato condotto dall'Armata di riserva che, dopo essere penetrata in Svizzera nella regione di Zurigo alla fine di aprile, avrebbe passato le Alpi al San Gottardo o al passo del Sempione. Bonaparte sarebbe avanzato nella pianura Padana e, dopo essere stato rinforzato dal corpo del generale Claude Jacques Lecourbe distaccato dal generale Moreau, avrebbe attaccato alla spalle l'esercito austriaco in Italia, impegnato frontalmente nell'Appennino ligure dalle forze del generale Massena. Questo nuovo piano di operazioni poteva aprire la possibilità di ottenere un successo rapido e decisivo in Italia settentrionale; tuttavia sviluppi imprevisti della situazione sul campo e l'inattesa aggressività del nemico, sconvolsero i progetti del Primo console e lo costrinsero a modificare in parte le sue intenzioni e soprattutto ad accelerare al massimo la marcia della sua armata.
Il cancelliere austriaco Thugut era principalmente interessato a consolidare ed estendere il predominio raggiunto in Italia dopo le vittorie del 1799; egli quindi, in collaborazione con il Consiglio aulico di Vienna, decise di concentrare le forze principali nella penisola spingendo il comandante in capo locale, generale Michael von Melas, a passare rapidamente all'offensiva. In Germania il generale Paul Kray sarebbe rimasto sulla difensiva con circa 120.000 uomini, mentre il generale von Melas con 97.000 soldati avrebbe dovuto attaccare in forze la debole armata del generale Massena schierata sulla costa ligure e distruggerla. Dopo aver raggiunto questo risultato il generale von Melas avrebbe marciato in Provenza puntando su Tolone. Si progettava inoltre di suscitare un'insurrezione realista organizzata da Amédée Willot e dal marchese di Puivert; era previsto anche uno sbarco di truppe britanniche radunate a Minorca dal generale John Stuart.
Questo piano di operazioni, in apparenza efficace ed aggressivo, in realtà disperdeva la forza principale austriaca in un settore secondario contro le forze meno agguerrite del nemico; soprattutto non teneva conto dell'importanza strategica della Svizzera che, occupata e organizzata come base di operazioni dai francesi, avrebbe consentito al nemico di manovrare tra i due fronti di guerra e di trasferire le sue truppe di riserva per rafforzare il settore più minacciato cogliendo alle spalle le armate austriache, schierate su territori molto distanti e non collegate fra loro. Si presentarono inoltre difficoltà di organizzazione: il ministro britannico della guerra Henry Dundas non fornì truppe sufficienti al generale Stuart che quindi si dimise; il corpo di spedizione britannico non si mosse e non sbarcò sulla costa della Provenza; il nuovo comandante britannico, generale Ralph Abercromby, prese il comando a Minorca solo dopo la conclusione della campagna in Italia.
l generale von Melas non schierò tutte le sue forze contro l'Armata d'Italia del generale Massena posizionata nell'Appennino ligure; il comandante austriaco preferì lasciare quasi metà delle sue truppe nella Pianura Padana e allo sbocco dei passi delle Alpi per proteggere le sue linee di comunicazione mentre con il resto del suo esercito a partire dal 5 aprile sferrò l'offensiva. Nonostante questo errore l'attacco austriaco raggiunse notevoli successi e sorprese le forze francesi in Italia; anche il Primo console Bonaparte non si attendeva un'offensiva nemica così anticipata e che ancora il 9 aprile scrisse al generale Massena una lettera in cui illustrava i dettagli del piano di operazioni complessivo e ordinava ottimisticamente al generale di coordinare i suoi movimenti con quelli del generale Berthier, ufficialmente al comando dell'Armata di riserva.
Il generale Massena aveva disseminato le sue deboli forze su oltre 250 chilometri di territorio; sull'ala sinistra il generale Louis Gabriel Suchet guidava 12.000 soldati tra Finale Ligure ed il Passo del Moncenisio; il comandante dell'Armata d'Italia controllava, dal suo quartier generale di Genova, una riserva centrale di circa 15.000 uomini, mentre il generale Nicolas Soult dirigeva le difese nel settore occidentale tra il Colle di Cadibona e Torriglia con altre tre divisioni. Questo schieramento, adottato dal generale Massena per facilitare l'approvvigionamento dell'armata ed anche per attirare il massimo di truppe nemiche, era troppo esteso ed esponeva il suo esercito ad essere attaccato con forze preponderanti dagli austriaci; inoltre la costa ligure era solidamente bloccata dalle navi della flotta britannica dell'ammiraglio George Keith. Il generale Massena era in grave difficoltà anche per le deplorevoli condizioni materiali e morali delle sue truppe; a causa di speculazioni dei fornitori civili, il rifornimento dell'armata era insufficiente, mentre le scorte disponibili a Genova erano molto scarse.
L'offensiva austriaca
Il generale von Melas era passato all'attacco il 5 aprile nel settore del Moncenisio; le truppe austriache guadagnarono alcune posizioni, ma furono contrattaccate dai francesi che ripresero parte del terreno perduto. In realtà di trattava di una manovra secondaria, mentre gli austriaci sferrarono l'offensiva principale il 6 aprile con circa 60.000 soldati, divisi in quattro colonne che attaccarono in direzione di Savona per dividere in due parti l'esteso fronte difensivo francese. La situazione dell'Armata d'Italia si deteriorò rapidamente; le truppe francesi, colte si sorpresa e più deboli, furono sopraffatte. Le due colonne dell'ala sinistra austriaca, al comando del generale Peter Karl Ott, occuparono Recco e respinsero l'ala destra francese fino a Nervi; al centro il generale Federico di Hohenzollern attaccò il passo della Bocchetta a nord di Genova, mentre il generale von Melas guidò personalmente l'attacco dal Passo di Cadibona verso Vado e Savona; in tre giorni gli austriaci raggiunsero e conquistarono Savona, completando la manovra per frammentare in due tronconi l'esercito nemico.
Nonostante alcuni tentativi di contrattacco del generale Massena, gli austriaci riuscirono a respingere le forze del generale Suchet verso il fiume Roia e poi dietro il fiume Varo separandole dal resto dell'Armata d'Italia che venne bloccata a Genova dalle truppe del generale Ott. Nella terza settimana di aprile i generali Massena e Soult, con 18.000 soldati, erano ormai assediati nella città dalle forze del generale Ott, costituite da circa 24.000 uomini, mentre la flotta britannica bloccava il porto. La situazione delle truppe francesi assediate era precaria soprattutto a causa della carenza di rifornimenti; il generale Massena tuttavia era deciso a prolungare la resistenza che, trattenendo numerosi reparti austriaci sul suo fronte, avrebbe potuto agevolare l'offensiva prevista da Bonaparte attraverso le Alpi.
Bonaparte non sembrò inizialmente consapevole della difficile situazione del generale Massena; ai primi di aprile sembrò deciso, dopo aver fatto effettuare una approfondita ricognizione dei passi alpini, a servirsi, per portare l'Armata di riserva in Italia, del passo del Sempione e del passo del San Gottardo che erano i valichi più agevoli e strategicamente più idonei per una avanzata rapida e di sorpresa a sud delle Alpi. Il Primo console aveva già individuato l'importanza tattica della città di Stradella, tra il Po e gli Appennini, sulla strada tra Piacenza e Alessandria; secondo il suo segretario Louis Antoine Bourienne, Bonaparte già in quei giorni previde sulle carte che la battaglia decisiva sarebbe stata combattuta nei pressi del villaggio di San Giuliano, cinque chilometri a est dalla cittadina di Marengo.
In realtà ben presto sorsero complicazioni che costrinsero Bonaparte a modificare i suoi piani; il generale Moreau continuò a ritardare la sua offensiva e moltiplicò le obiezioni ai piani operativi; il generale Berthier, ufficialmente comandante dell'Armata di riserva, diede prova di pessimismo e scarsa risolutezza nonostante l'incoraggiamento e i consigli del Primo console; la situazione a Genova, dove il generale Massena, aveva riserve di viveri per le truppe assediate solo per altri trenta giorni, divenne precaria. Il 26 aprile Bonaparte prese una nuova decisione: per affrettare i tempi l'Armata di riserva sarebbe passata per il Colle del Gran San Bernardo, percorrendo la strada più breve da Digione nonostante le difficolta di quel valico, angusto e a tratti quasi impraticabile.
Il passo del Gran San Bernardo era conosciuto dall'esercito francese che lo aveva utilizzato anche nel 1798 e 1799, tuttavia in ragione della stagione, della neve e del ghiaccio ancora presenti, il valico appariva difficile e rischioso. Bonaparte aveva bisogno di guadagnare tempo; egli inoltre per confondere il nemico ed evitare possibile confusione nell'attraversamento, decise di indirizzare una parte delle sue truppe su altri valichi. Quindi il generale Louis Marie Turreau sarebbe passato per il Colle del Moncenisio con 2.500 uomini, il generale Joseph Chabran avrebbe attraversato con la sua divisione al Piccolo San Bernardo per poi ricongiungersi al grosso dell'armata ad Aosta, mentre il generale Antoine de Béthencourt avrebbe percorso il passo del Sempione con una demi-brigade.
Il 25 aprile il generale Moreau aveva iniziato con successo le operazioni in Germania; egli peraltro continuò a mostrare poca collaborazione, il 5 maggio Bonaparte gli richiese di inviare in Italia di rinforzo attraverso il Gottardo 25.000 uomini al comando del generale Jeannot de Moncey, ma il comandante dell'Armata del Reno, irritato da questi ordini, finì per trasferire a sud dell'Alpi solo 15.000 soldati. A Genova la situazione del generale Massena era sempre più precaria, egli comunicava di avere viveri sufficienti solo per altri quindici giorni; a mezzanotte tra il 5 e il 6 maggio Bonaparte, dopo aver nuovamente incoraggiato l'incerto generale Berthier e averlo avvertito del suo prossimo arrivo, partì da Parigi per raggiungere l'Armata di riserva. Egli giunse a Ginevra l'8 maggio e assunse il comando.
Dal Gran San Bernardo alla pianura padana
Dal Gran San Bernardo alla pianura padana
Bonaparte si trattenne a Ginevra per tre giorni mentre veniva completato il raggruppamento dell'Armata di riserva; gli ordini definitivi per la marcia furono diramati nel massimo segreto il 10 maggio, mentre il 14 maggio il ministro Carnot giunse al quartier generale dove informò il Primo console della scarsa volontà di collaborazione del generale Moreau e della sua decisione di ridurre il contingente inviato a sud per rinforzare l'Armata di riserva. Dopo questa delusione, il 13 maggio Bonaparte ricevette invece notizia dell'arrivo in Francia, proveniente dall'Egitto, dell'abile generale Louis Desaix che egli sollecitò subito ad unirsi all'armata per partecipare alla campagna.
Dopo aver inviato un ultimo messaggio al generale Massena per spronarlo a prolungare al massimo la resistenza, Bonaparte mise in movimento le sue truppe il primo mattino del 15 maggio; si trattava di circa 50.000 uomini che egli aveva organizzato in corpi d'armata autonomi per facilitare il controllo e migliorare le possibilità operative. L'avanguardia, costituita da due divisioni e una brigata di cavalleria al comando del generale Jean Lannes, era già in movimento per raggiungere il passo del Gran San Bernardo. Il grosso dell'Armata di riserva era costituito dai due corpi d'armata del generale Claude Victor e del generale Guillaume Philibert Duhesme con altre quattro divisioni, mentre la retroguardia era costituita da una divisione francese, la brigata italiana del generale Giuseppe Lechi e la truppa scelta della Guardia consolare; il generale Gioacchino Murat guidava le forze di cavalleria; il generale Auguste Marmont comandava l'artiglieria, costituita da 48 cannoni.
L'avanguardia del generale Lannes, partita da Martigny, era in marcia verso Aosta; dietro seguivano, divise in cinque colonne, le altre divisioni. La marcia presentò grandi difficoltà legate al clima ed al terreno quasi impraticabile; estremamente arduo si rivelò il trasporto dei cannoni a causa della neve presente sul Gran San Bernardo e dell'asperità del pendio. Il generale Marmont superò le difficoltà facendo smontare i cannoni e trasportandoli all'interno di tronchi d'albero appositamente scavati, o impiegando slitte a rulli; gli affusti furono portati ciascuno su barelle da dieci soldati, mentre i carriaggi marciarono vuoti e i carichi furono trasportati a mano o sui muli.
La marcia dell'Armata di riserva si svolse principalmente di notte per limitare il rischio di valanghe; con un freddo molto intenso le truppe avanzarono nell'oscurità su una pista insidiosa per il ghiaccio presente in alcuni tratti e, nonostante questi ostacoli, i reparti proseguirono con grande rapidità; l'avanguardia del generale Lannes superò il valico posto a 2.473 metri.
Il Sepolcro del Generale Desaix
Raggiunse e occupò Aosta il 16 maggio dopo un scontro con la debole guarnigione locale. Il 17 maggio i francesi conquistarono anche Châtillon dove venne sbaragliato un altro reparto austriaco di 1.500 uomini; quello stesso giorno Bonaparte raggiunse Martigny, il 20 maggio attraversò a sua volta il valico con i suoi uomini e nella serata raggiunse il posto di comando del generale Berthier. Nell'epopea napoleonica il passaggio del Gran San Bernardo avrebbe presto assunto un carattere quasi leggendario e l'iconografia napoleonica avrebbe esaltato le gesta del Primo console sulle piste già percorse in passato da Annibale e Carlo Magno.
Le truppe di Lannes raggiungono Bard, dopo aver superato con successo il tentativo austriaco di fermare a Châtillon la discesa dei francesi. Berthier porta il Quartiere Generale a Verrès da dove invia tre messaggi al Primo console prospettandogli i seri problemi che il forte pone al passaggio delle truppe e soprattutto dell’artiglieria.
La sera del 20 maggio, mentre l’avanguardia di Lannes passa oltre Bard attraverso i sentieri che aggiravano il forte, tagliandolo fuori da ogni comunicazione con Ivrea, il generale di Divisione Dupont intima la resa al Comandante Bernkopf. Ricevuta una risposta negativa, ordina l’attacco a sorpresa del Borgo di Bard, abbandonato dalla popolazione sin dal giorno della presa di Aosta.
Nella notte tra il 21 e il 22 maggio, approfittando dell’oscurità, i soldati della 58° mezza brigata della divisione Loison, guidata dal gen. Gobert, camminando curvi dietro i parapetti fiancheggianti la strada, raggiungono e demoliscono la porta di Culetto, mentre un secondo gruppo di zappatori del genio discende lungo le rupi della montagna, supera le prime palizzate e si impadronisce dell’alta e bassa borgata calando il ponte levatoio dalla parte di Donnas. La guarnigione austriaca è costretta ad abbandonare il Borgo e a ritirarsi combattendo nella fortezza. I Francesi diventano padroni del paese, occupano le case e iniziano dalle finestre uno scambio giornaliero di fucileria con gli assediati.
La mattina del 22 il generale Dupont invia al capitano Bernkopf un secondo invito alla resa, ricevendone un secondo rifiuto. Un distaccamento di 400 uomini prende allora posizione ad Albard tenendo sotto fuoco le batterie basse e i trinceramenti che fronteggiano la Dora. Sulla montagna che sovrasta il forte vengono fatti trasportare a braccia dai contadini del posto (per un premio di 1200 franchi) tre pezzi di artiglieri catturati agli austriaci nel combattimento di Châtillon. Ma non è una potenza di fuoco sufficiente a costringere il forte alla resa.
La mattina del 26 maggio trecento granatieri di Francia tentano l’assalto a sorpresa, ma sono respinti da una valanga di fuoco che costa la perdita di oltre duecento uomini tra morti e feriti, tra i quali il generale Dufour, caduto mentre sta tentando l’attraversamento della Dora su di uno zatterone affondato dagli assediati.
Fallito l’attacco, non rimane che l’assedio. Il compito è affidato al Gen. Chabran, comandante della retroguardia, la cui divisione è considerata la più debole di tutta l’armata essendo composta in gran parte da coscritti alla prima esperienza militare. Circondano il forte 1243 fucilieri, guidati da 119 ufficiali: 302 fucilieri nel borgo di Bard, 283 sul lato di Hône, 375 sul lato di Donnas e 283 sulle alture di Albard. Ma i pezzi da 8 e da 4 dell’artiglieria francese, pur tenendo costantemente sotto pressione gli assediati, non procurano gravi danni alle strutture del fortilizio. Occorre portare un cannone da 12 a ridosso della porta principale del forte, piazzarlo fuori dalla portata di tiro dei difensori e sparare da distanza ravvicinata. La mossa vincente è realizzata nelle notti del 30 e 31 maggio quando il cosiddetto “cannone di Andreossi”, la cui sola bocca da fuoco pesa quasi una tonnellata, è trascinato fino al presbiterio della chiesa parrocchiale e posto a fianco del campanile, fuori dalla vista dei difensori e protetto dalle pareti rocciose strapiombanti.
La mattina del 1 giugno inizia il bombardamento: incominciano a crollare le palizzate che collegano fra loro le opere murarie, poi iniziano ad apparire brecce sempre più larghe nei muri del forte. Al tramonto è intimata la resa e il comandante Bernkopf issa la bandiera bianca. La capitolazione con l’onore delle armi è firmata la sera del 1 giugno 1800.
Il 24 maggio circa 40.000 soldati francesi avevano ormai completato il valico del Gran San Bernardo e avevano raggiunto Ivrea allo sbocco in pianura; il generale Lannes aveva raggiunto e conquistato questa città fin dal 22 maggio dopo aver sconfitto la guarnigione austriaca. Il piano di Bonaparte nonostante le difficoltà era pienamente riuscito; l'Armata di riserva aveva raggiunto la pianura a sud delle Alpi senza essere ostacolata dall'esercito austriaco, il generale von Melas era stato colto di sorpresa e non aveva cercato di bloccare l'arrivo di un secondo esercito francese in Italia. Il Primo console era ottimista e fiducioso; decise di continuare l'offensiva, congiungersi con gli altri reparti francesi e sfruttare il vantaggio strategico raggiunto.
Ivrea divenne il nuovo centro di operazioni dell'armata; da quella posizione Bonaparte aveva la possibilità di marciare direttamente verso Genova per accorrere in aiuto del generale Massena, dopo essersi eventualmente congiunto con il reparto del generale Turreau proveniente dal passo del Moncenisio; in alternativa il Primo console poteva marciare subito su Milano per tagliare le comunicazioni con l'Impero dell'esercito austriaco in Italia. In questo secondo caso i risultati di una eventuale vittoria campale sarebbero stati risolutivi e in un colpo solo Bonaparte avrebbe deciso a suo favore la campagna. La manovra su Milano presentava dei rischi; fino all'apertura della via attraverso il San Gottardo, da cui doveva discendere il generale Moncey con le truppe distaccate dal generale Moreau, l'Armata di riserva sarebbe stata esposta a minacce alla sua linea di comunicazione che gli austriaci avrebbero potuto intercettare con un'offensiva a nord del Po. Bonaparte, pressato dalla necessità di affrettare i tempi e di raggiungere un successo clamoroso anche per rinsaldare la sua posizione politica, decise di correre il rischio e di puntare verso est per raggiungere subito Milano.