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CANAVESE - VARIE
by Enrico Cavallo

«Le célèbre brigand Mayno, qui se disait Empereur des Alpes et Roi de Marengo, vient enfin d’ètre tué». Così il generale Menou dava solenne annuncio della cattura, il 14 aprile 1806, del più famoso dei briganti dell’epoca napoleonica. Il suo nome è ancora tramandato al giorno d’oggi: era Mayno della Spinetta (Mayn ëd la Spinëtta, in lingua piemontese), fuorilegge dalla vita romanzesca e avventurosa, che diede non poco filo da torcere ai soldati di Napoleone, i quali impiegarono ben quattro anni, dal 1803 al 1806, per stanarlo e ucciderlo.

La vita di questo capo-banda, che si guadagnò un posto d’onore nel folklore nostrano come il Robin Hood piemontese, è avvolta in gran parte dalla leggenda, anche se spesso essa sa lasciare ampi spazi alla verità. Nato attorno al 1784, egli si chiamava semplicemente Giuseppe Mayno: il dla Spinëtta, naturalmente, venne dopo. Si sposò con Cristina Ferraris, e poco dopo si diede alla macchia, forse per sfuggire alla leva. Sta di fatto che nel giro di poco tempo egli riuscì a radunare attorno a sé una banda composta da un notevole numero di uomini: con buona probabilità, superava il centinaio di elementi. I boschi della Fraschetta erano il loro rifugio, e l’Alessandrino il loro regno.

Ma Mayno non era il solo brigante che infestava quelle terre: lui, semmai divenne il più noto tra essi, poiché si cimentò in imprese spericolate e in vere e proprie smargiassate, a danno di quei francesi affamatori che erano odiati dalla popolazione. Singolare è che nel 1796 venisse condannato a morte un fuorilegge compaesano del nostro brigante, tale Antonio Majno, detto Passapertutto: non possiamo stabilire se era o no parente di Giuseppe Mayno (per altro, in assenza di una grafia standard, il suo cognome poteva essere scritto anche nelle forme Majno o Maìno) ma di certo ciò è un’ulteriore conferma che davvero la Fraschetta fosse infestata da banditi e malintenzionati.

Da troppi anni, d’altronde, essa doveva sopportare le angherie della soldataglia napoleonica: dal 1796 il Piemonte era militarmente occupato dai francesi, e con la cacciata di Carlo Emanuele IV nel dicembre 1798 e la successiva «riunione» alla Francia, le condizioni delle campagne peggiorarono ulteriormente. La coscrizione obbligatoria non fece che ulteriormente incancrenire il sentimento già ostile che i piemontesi nutrivano verso gli invasori. Mayno, in questa situazione, divenne un vero e proprio eroe popolare, e le sue imprese vennero raccontate e ingigantite dai racconti dei contadini.

Leggende? Forse. Ma nel proclama del generale Menou, con il quale si annunciava l’uccisione del «celebre brigante» trovano conferma alcune delle più spericolate azioni di Mayno e della sua banda: come l’aggressione al generale Milhaud, nella quale gli riuscì di derubarlo della croce di ufficiale della Legion d’Onore (e, confermava Menou, Mayno era solito indossarla abitualmente). D’altronde, il nostro era solito organizzare vere e proprie rodomontate, come quando assalì il convoglio del Papa Pio VII: egli aveva costruito attorno a sé un mito, facendosi chiamare – lo abbiamo visto – il Re di Marengo o l’Imperatore delle Alpi: insomma, una nemmeno tanto velata presa per i fondelli di Bonaparte e del mito napoleonico.

La sua fama giunse lontano, tanto è vero che si occupò di lui addirittura uno scrittore del calibro di Stendhal. Nel corso di un viaggio in Italia, egli sentì parlare di Mayno, che definì «uno degli uomini più notevoli di questo secolo». Anche Stendhal confermò l’abitudine di portare le decorazioni degli ufficiali vinti, in uso pure tra i suoi briganti.

La sua storia finì in tragedia, probabilmente per la soffiata di una spia. Tornato dalla moglie Cristina Ferraris, che non lo seguiva nelle sue azioni di guerriglia, egli trovò ad attenderlo i soldati della gendarmeria. Provò a difendersi, ma non gli riuscì di salvarsi: venne ucciso e il suo corpo fu esposto per tutto il giorno come un trofeo in piazza d’Armi ad Alessandria. Mayno era morto, e la sua banda andava sgominata: al processo contro il Re di Marengo furono quarantanove gli imputati; tra essi, anche l’innocente moglie Cristina: ebbe salva la vita, ma fu condannata a 24 anni di carcere.

Attorno a Mayno fiorì un mito. Era stato un brigante, questo è vero; ma, per il popolo, fu un brigante buono, specie di Robin Hood senza calzamaglia ma con lo spaciafoss in mano. Divenne il simbolo di quella resistenza all’invasore francese che mai si sopì del tutto, e che trovò in lui il suo più autorevole rappresentante. Fiorirono racconti e soggetti teatrali – primi fra tutti, i burattini – sul suo conto: addirittura, vi fu un soggetto cinematografico a cura di Armando Mottura e Pinin Pacòt. Insomma, un mito. «L’opinione pubblica gli attribuirà maggiore genialità e sangue freddo che non a molti generali che hanno lasciato fama di sé», disse di lui Stendhal. Con il senno di poi, sappiamo che aveva ragione.
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